Export of War Materiel: The Swiss Parliament Bows Once Again to NATO!
The Communist Party expresses deep concern over the political developments of recent weeks regarding the defense sector. On the one hand, the Council of States (upper house of the Swiss parliament) has approved a motion to prevent the relocation of SwissP Defence, currently owned by the Italian private group Beretta. A motion that would never have been necessary had the company - once an integral part of RUAG Ammotec, a Swiss industrial asset - remained under public control. On the other hand, the National Council (lower house of the Swiss parliament) has approved a significant relaxation of the law on war material, authorising Swiss companies (de facto Beretta) to export weapons to countries (which, coincidentally, are mostly NATO members) involved in armed conflicts. This is a very serious turning point for Swiss neutrality, which the government is trying to downplay but which in fact turns the country into an indirect participant in foreign wars. These two decisions stem from the same dynamics of privatization, subordination to capital interests, and the ongoing erosion of Swiss neutrality, ultimately resulting in the sell-off of a strategic national sector to private - and even worse, foreign - interests.
The transformation of RUAG Ammotec from a state-owned enterprise into private ownership is a prime example of how privatizing a strategic sector inevitably leads to a loss of sovereignty. As long as it was in public hands, Swiss military production remained under democratic control and served a mandate of general interest: ensuring the country’s military autonomy and security. But with privatization, what was once a sovereign task has been subordinated to the demands of profit:
This is the cost of privatization: loss of control, job blackmail, dependence on capital, and political pressure that leads to further concessions to the arms market and to major powers.
As we stated back in 2022, “the sell-off to Beretta means losing public control over the export of ammunition manufactured in our country. This means that Swiss-made weapons, already primarily destined for NATO, will be freely traded in countries at war, and today one cannot help but think whose hands they will end up in in Ukraine”. The loosening of the law on arms exports is therefore not a technical detail nor an isolated exception: it is a breach in Swiss neutrality. A Switzerland that exports weapons to countries at war can no longer fulfill its role as a neutral country (and thus as a potential mediator), but becomes an economic player (indirectly) involved in various conflict scenarios. Neutrality cannot coexist with profit-seeking through the arms trade, nor can it survive if the national defense sector is handed over to a private group which, in the name of profitability, put pressure on Parliament to relax ethical and legal constraints. The fact that the rightwing nationalist party SVP fails to understand this, only highlights the incoherence of a Party that claims to defend neutrality yet finds itself completely subservient to militarist elites aligned with NATO!
Esportazione di materiale bellico, il parlamento svizzero si piega nuovamente alla NATO!
Il Partito Comunista esprime profonda preoccupazione per gli sviluppi politici delle ultime settimane relativi al settore della difesa. Da un lato, il Consiglio degli Stati ha approvato una mozione per impedire la delocalizzazione di SwissP Defence, oggi proprietà del gruppo privato italiano Beretta. Una mozione che non sarebbe mai stata necessaria se l’azienda – un tempo parte integrante della RUAG Ammotec, patrimonio industriale svizzero – fosse rimasta sotto controllo pubblico. Dall’altro lato, il Consiglio Nazionale ha approvato un notevole allentamento della legge sul materiale bellico, autorizzando le aziende svizzere (de facto Beretta) a esportare armamenti verso paesi coinvolti in conflitti armati (casualmente la maggioranza di questi paesi fanno parte della NATO). Una svolta gravissima per la neutralità svizzera, che il Governo tenta di minimizzare ma che di fatto trasforma il Paese in parte indiretta di guerre altrui. Queste due decisioni sono il prodotto delle stesse dinamiche di privatizzazione, subordinazione agli interessi del capitale e progressiva erosione della neutralità svizzera con il risultato della svendita di un settore strategico nazionale a interessi privati e, peggio ancora, stranieri.
La trasformazione di RUAG Ammotec da impresa statale a proprietà privata rappresenta un caso esemplare di come la privatizzazione di un settore strategico porti inevitabilmente alla perdita di sovranità. Finché essa era in mani pubbliche, la produzione militare svizzera era posta sotto controllo democratico e rispondeva a un mandato di interesse generale: garantire l’autonomia militare e la sicurezza del Paese. Ma con la privatizzazione, ciò che era un compito sovrano è stato subordinato alle esigenze del profitto:
Questo è il prezzo della privatizzazione: perdita di controllo, ricatti occupazionali, dipendenza dal capitale e pressioni politiche che generano ulteriori concessioni al mercato degli armamenti e alle grandi potenze.
Come avevamo dichiarato nel 2022, “la svendita a Beretta significa aver perso il controllo pubblico sull’esportazione delle munizioni fabbricate nel nostro Paese. Questo significa che le armi svizzere, già ora principalmente indirizzate alla NATO, saranno commerciate liberamente nei paesi in guerra, e oggi non si può non pensare in mano a chi finiranno in Ucraina”. L’allentamento della legge sulle esportazioni belliche non è insomma un dettaglio tecnico, né un’eccezione: è una frattura nella neutralità elvetica. Una Svizzera che esporta armi a paesi in guerra non può più assolvere al suo compito di paese neutrale (e dunque potenzialmente di mediatore), ma diventa un attore economico coinvolto (indirettamente) nei diversi scenari bellici. La neutralità non solo non può convivere con la ricerca di profitto attraverso il commercio d’armi, ma nemmeno può sopravvivere se il settore della difesa nazionale viene consegnato a un gruppo privato che, in nome della reddittività, esercita pressione sul Parlamento affinché allenti vincoli etici e legislativi. Che l’UDC non lo capisca rende evidente l’incoerenza di un partito che a parole difende la neutralità ma si trova totalmente succube delle élite militariste che guardano alla NATO!